martedì 2 gennaio 2007

lucrezio

Si possono fare delle osservazioni a partire dal confronto con i modelli letterari greci. Già nel proemio primo notiamo subito che la rappresentazione del risveglio della natura in Primavera all’arrivo di Venere è rappresentato attraverso accumulazioni genus, ferarum, pueris, avibus, pecudes, proles, ma si vede anche come il consueto modello dell’innografia tradizionale è parzialmente trasformato e nella figura di Venere moduli letterari convenzionali, retroscena filosofico e contingenze storiche si intreccino per conseguire l’intento psicagogico nell’opera. Tra le specifiche particolarità stilistiche del proemio ci sono lo sviluppo ad effetto retroattivo dell’esposizione e la circolarità nell’inno. Dal confronto con il trentesimo degli Inni omerici, invece, dedicato E„j GÁn mhtšra p£ntwn si nota che ci sono punti di contatto tra quest’ultimo e il testo lucreziano e cioè il nesso specifico che viene instaurato tra la funzione nutrice della terra e la propagazione della vita umana; dunque è possibile che la raccolta greca sia stata presente a Lucrezio in misura non trascurabile. Ancora, l’idea del cielo o etere come padre e della terra come madre che si uniscono in matrimonio è un antico mito ariano che compare anche in Eschilo. Esiste una sostanziale coerenza tra la filosofia di Lucrezio e quella di Epicureo; tuttavia, alcune particolarità nel sistema filosofico lucreziano lo differenziano dalla dottrina del maestro; esse sono dovute, senza dubbio anche alla forma in versi cui il poeta è vincolato. Per ciò che riguarda l’origine della vita, ad esempio, Lucrezio parte dal concetto filosofico, presente anche in Epicuro, di una vera e propria dottrina dell’evoluzione, ma la differenza rispetto ad Epicuro concerne la precedenza nella produzione dei vegetali rispetto agli animali, infatti, mentre per Epicuro si tratta di un progresso della natura, che produce via via esseri sempre migliori (ricordiamo che, secondo Epicuro, le piante sono senz’anima) per Lucrezio gli animali prima di compiere le funzioni vitali si ricoprono di piume, così la terra prima di produrre le varie stirpi si ricoprì del mantello vegetale. Dunque per Epicuro si tratta di evoluzione, per Lucrezio, di generazione. È un’ applicazione del principio dell’analogia e ricordiamo che l’analogia dei tessuti epiteliali degli animali e delle piante era stata affermata da Empedocle. Quindi pur essendo presente la forza di una tradizione nel De rerum natura, l’autore presenta tratti personali e originali nell’esposizione della sua filosofia.
Il nucleo di questo lavoro, però, ruota attorno all’analisi dello stile del poeta, sono stati individuati i tratti fondamentali della sua poetica e gli espedienti retorici dei quali l’autore si serve nel momento in cui traduce in versi la filosofia di Epicuro. L’uso di figure poetiche tradizionali come ad esempio il ricorso al mito, la stessa scelta della forma poetica, così apparentemente in contrasto con i precetti epicurei, rientrano nella ricerca del lepos che collegato con il proposito etico-didascalico della sua poesia, è il punto cardine dell’arte lucreziana; ne è la prova anche il fatto che gli effetti devastanti del fulmine sulla terra, nel libro sesto, sono descritti in modo antropocentrico.
Per suggerire la grandezza sublime del cielo il poeta si serve della dignità e della nobiltà che hanno le espressioni mitologiche allo scopo di mantenere nelle sue descrizioni l’aspetto di mira dei fenomeni cosmici. Un esempio è dato dalla descrizione dell’alternarsi delle stagioni, in cui il riferimento a Venus, Cupido, Flora, Ceres e Bacchus è permesso perché è chiaro dagli argomenti circostanti che si tratta di personificazioni. D’altro canto l’evocazione di rappresentazioni visive familiari del regolare processo delle stagioni dà sostegno all’argomento immediatamente vicino, che cioè molte cose si succedono in natura con ordine uniforme. Questa rappresentazione inoltre è una prova della vividezza dell’immaginazione visuale del poeta. Lucrezio ricorre al mito, quindi, per vivificare l’oggetto della sua poesia, ma fa ricorso anche a molteplici espedienti artistici quali arcaismi, perifrasi, metafore, epiteti, analogie e procedimenti di animazione-umanizzazione, ad esempio in riferimento al sole. Nella descrizione dei paesaggi sono presenti anche tÒpoi omerici ad esempio nella descrizione dell’alba ('Hëj mn krokÒpeploj ™k…dnato p©san ™p' aan). L’uso delle metafore pervade tutta l’opera in modo consapevole ma spesso anche indotto, questo accade a tutti i livelli, dalla singola parola (convestire, expugnata) alle rappresentazioni più complesse e articolate.
La più grandiosa visione metaforica del De rerum natura è la storia della formazione della terra presente nel quinto libro che si svolge come un racconto favoloso e mitico ed ha per attori la terra, i corpi celesti e gli elementi naturali. A questo proposito sottolineamo che nell’ambito dell’uso delle metafore rientra la personificazione della natura: per attribuire dinamicità agli elementi naturali Lucrezio si avvale di un linguaggio i cui termini associano al significato meccanico e materialistico un valore traslato che si applica a sentimenti e atteggiamenti dell’animo. Già la filosofia epicurea offriva lo spunto per la personificazione della natura in quanto la terra e il mondo stesso sono concepiti come un organismo vivente ed anche perché l’atomismo epicureo non pone una sostanziale differenza tra esseri organici e inorganici ma soltanto una differenza nella disposizione e nella forma degli atomi. Questo vuol dire che la personificazione della terra nell’opera di Lucrezio non è semplicemente effetto di «amplificazione», ma si rifà alla dottrina del maestro.
Sempre nell’ambito della personificazione rientra l’uso del linguaggio militare che richiama alla mente le leggi fisse e inderogabili alle quali è soggetto l’atomismo, anche il suo ordine, la sua determinatezza e logicità rispetto alla contraddittorietà di alcuni atteggiamenti umani tanto illogici quanto complicati da desideri che non rispecchiano reali necessità. Lo stile di Lucrezio è pure caratterizzato dall’uso della variatio con effetto di straniamento artistico-emotivo. Ciò è evidente nelle figure grammaticali attraverso costruzioni inusuali, probabilmente arcaiche ed anche nelle singole parole: fulgĕre, terza coniugazione, ne è un esempio, perchè si trova anche fulget. Il fatto che Lucrezio, in alcuni casi, si libera dalla grammatica ed è guidato dal senso comune e dal pensiero prevalente nella sua mente è indicato ad esempio dall’uso dello zeugma denique nota vagis silvestria templa tenebant/ nympharum, quibus e scibant umori’ fluenta/ lubrica proluvie larga lavere umida saxa,/ umida saxa, super viridi stillantia musco,/ et partim plano scatere atque erumpere campo.
Per spiegare un fenomeno o per descriverne gli effetti, il poeta trae le esemplificazioni dalla realtà immediatamente circostante, anche per questo egli ricorre spesso agli stessi esempi, alle stesse immagini, quindi agli stessi termini in contesti simili, ne deriva uno spiccato tecnicismo (venti vis). È importante sottolineare, a questo proposito, come la materia trattata vincoli il poeta ad una terminologia inderogabile perciò povera di sinonimi in relazione all’espressione di concetti primari e basilari, e, ovviamente, anche le ragioni metriche giocano un ruolo non indifferente a questo proposito.
La difficoltà di lettura del D.r.n. deriva pure dalla complessità linguistica per novità lessicale ed espressiva che si manifesta con l’uso, ad esempio, di hapax legomena (provomit). Tra gli espedienti metrici ricordiamo che Lucrezio usa spesso effetti ritmici improntati al reale ritmo di ciò che vuole esprimere infatti i versi spondaici chiaramente esprimono riposo e lentezza nel moto.
Di altre figure retoriche si possono citare alcuni esempi:
- iperbato (arboribusque datum est variis e magnum inmissis certam habenis), la rottura della consuetudo sintattica provoca un effetto di straniamento nel lettore;
- anadiplosi (umida saxa/ umida saxa) il poeta è affezionato alla ripetizione di una parola alla fine di un verso e all’inizio dell’altro;
- allitterazione (venti vis verberat incita);
- paronomasia (rotanti...portant) che rappresenta la rapacità e il turbinoso accavallamento dei venti insieme alla progressione onomatopeica (verrunt ac subito vexantia turbine raptant);
- amplificazione nella descrizione della furia dei venti e delle acque attraverso il potere evocatore dei suoni, del ritmo, e dell’ενάργεια;
- amplificazione indiretta: lo sgomento della visione di un cosmo caotico, senza vita e senza luce, crea immagini di lotta cieca fra gli elementi e di incessante agitazione. Lucrezio sa ispirare al lettore il sentimento del vuoto che si proverebbe davanti a un mondo appena nato, enumerando tutto quel che non c’era in quel momento;
- assonanza, ad esempio nelle espressioni aridus altis montibus audiri fragor e aridus altis audiri e il chiasmo paronomastico tra aridus…audiri e aridus…auris).
- forte rimarcatura allitterante e ricerca costante di sonorità: perterricrepo è un composto citato da Cicerone che disapprova l’asperitas proprio ciò che lo rende adatto nel contesto;
- termini usati con un significato differente rispetto al loro proprio, per esempio l’avverbio ferme acquisisce in un determinato contesto una sfumatura particolare di significato che lo avvicina semanticamente a semper.
- formazioni con la terminazione in -men (conamen);
- poliptoto contiguo arboris arbor e dilatato ramosa.../ ramos...).
Concludo con delle osservazioni sulla poetica dell’autore. Il fatto, ad esempio, che nell’opera la dispositio provveda concretamente a una attiva distribuzione di ordo naturalis e ordo artificialis è evidente dal modo in cui l’autore, fra le meteore, esamina le trombe e i prestéri, le nubi, la pioggia e l’arcobaleno limitandosi poi semplicemente ad enumerare gli altri fenomeni meteorologici (neve, venti, grandine, brina, gelo): si direbbe che il poeta si sia stancato di entrare in considerazioni che mettono in gioco sempre le stesse cose, in realtà in questo modo egli cerca da un lato di assicurare la credibilità e dall’altro di evitare la noia. Questo lavoro evidenzia anche come il poeta a volte si discosti dall’obbligo dei doveri grammaticali poiché il suo dovere prioritario è quello di dar forma alla realtà (ultra-umana e umana) straniandola e rendendola così generale; la vetustas (¢rcaŽsmÒj) attraverso antiche forme linguistiche concorre a ragiungere questo straniamento. Si è notato inoltre come la metonimia mitologica e simbolica può essere trasformata in allegoria che viene chiamata «simbolo» in quanto tra l’oggetto inteso e l’allegoria si presume una partecipazione reale resa possibile dall’allegoria medesima. Questo è evidente nel proemio a Venere dove l’allegoria diventa anche principio di interpretazione attribuendo ad un discorso di ri-uso un senso nuovo. Questo studio evidenzia anche altri tratti caratteristici della poetica dell’autore, tra questi, il suo intento polemico nei confronti dei filosofi precedenti, tali aspetti traspaiono dall’analisi del passo V 736-747. Ancora si può sottolinere che, sebbene la patrii sermonis egestas spesso spinga Lucrezio a prendere a prestito dei termini dal greco, nel momento in cui tratta un soggetto tecnico è costretto a creare egli stesso un vocabolario; in questo modo alcuni termini (semina) sono frequentemente ripetuti nell’opera poichè non è facile trovare dei sinonimi per certe idee basilari. Si è visto ancora come nella concezione del testo lucreziano esista una coincidenza tra res e verba ed una corrispondenza di terminologia atomistica e terminologia grammaticale dalle quali non si può prescindere per comprendere l’organicità della composizione linguistica che si basa su unità definite, visibili e convertibili.

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